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Confermato il licenziamento di una dipendente per violazione delle procedure di segnalazione.

 

Con la sentenza 27 giugno 2024, n. 17715, la Cassazione torna ad occuparsi di whistleblowing tracciando il confine che separa l’uso o l’abuso di tale istituto che tutela i dipendenti che segnalano condotte illecite di cui sono venuti a conoscenza durante l’attività lavorativa. Secondo la sentenza, un lavoratore che segnala illeciti senza rispettare le procedure previste dal regolamento di whistleblowing può essere legittimamente licenziato.

I fatti da cui muove la segnalazione di whistleblowing

Il caso, sottoposto all’attenzione della Corte, riguarda la segnalazione di una dipendente che aveva denunciato la presunta condotta illecita del Direttore di Roma 1, accusato di aver sottratto fondi pubblici dal MIUR destinati al progetto premiale per il periodo 2012-2018, spettanti alla stessa dipendente che denunciava anche il plagio, il danno intellettuale, finanziario, di carriera e a danno di terzi. Tuttavia, la dipendente aveva inoltrato a vari destinatari (anche estranei ai reparti di competenza dell’ente datore di lavoro) il modello per la segnalazione di condotte illecite senza garantire la segretezza e trasmettendo dati sensibili che hanno leso il rapporto fiduciario tra la stessa ricorrente che si trovava in una posizione particolare di responsabilità in quanto dirigente e il datore di lavoro. Per questa ragione, l’Ente si era espresso concludendo che la segnalazione della dipendente “non poteva essere considerata come rientrante nelle tutele di cui all’art. 54-bis del D. Lgs. N. 165/2001, in quanto non era stata trasmessa con le modalità previste dal piano triennale di prevenzione della corruzione, 2018-2020, e che, in ogni caso, dalla relazione del responsabile anticorruzione non era emersa alcuna anomalia nella gestione delle vicende segnalate”.

A questi fatti, va aggiunta la vicenda che vedeva la medesima dipendente contattare un professore universitario (associato allo stesso Ente datore di lavoro) e registrare una conversazione che poi sarebbe stata pubblicata su Facebook lasciando che il soggetto venisse riconosciuto per strumentalizzare la conversazione privata. Il procedimento disciplinare, scaturito dalla segnalazione di whistleblowing, si è concluso con il licenziamento per giusta causa della dipendente che dopo i vari giudizi si è rivolta alla Corte di Cassazione.

La sentenza della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della dipendente confermando le valutazioni dei precedenti gradi di giudizio. La Corte ha stabilito che la registrazione segreta di una conversazione con un professore, successivamente pubblicata sui social media, non può essere considerata una difesa legittima per proteggere la propria posizione lavorativa.

Anche se le registrazioni segrete tra colleghi non sono sempre illegittime, devono essere giustificate da una reale necessità difensiva così come previsto dall’art. 54-bis D.Lgs. n. 165 del 2001. Questa protezione, tuttavia, non si estende a chi raccoglie prove di illeciti violando la legge. Pertanto, la Corte Costituzionale ha ritenuto legittimo il licenziamento della dipendente, poiché non vi era alcun nesso causale tra la registrazione e la segnalazione di illeciti. La normativa sul whistleblowing protegge infatti i dipendenti dalle sanzioni per la segnalazione di illeciti altrui, ma non copre gli illeciti autonomi commessi dai segnalanti stessi.

Promotergroup S.p.A. è in grado di offrire assistenza e consulenza alle aziende per implementare una procedura Whistleblowing conforme al D.Lgs. 24/2023.

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DECRETO AGRICOLTURA 2024: COSA CAMBIA PER LE IMPRESE

Aiuti alle imprese, stretta al fotovoltaico, lotta al caporalato e credito d’imposta Zes Unica

Il 12 luglio 2024 è stato convertito in legge, con la legge n. 101/2024, il D.L. 15 maggio 2024, n. 63, recante “Disposizioni urgenti per le imprese agricole, della pesca e dell’acquacoltura, nonché per le imprese di interesse strategico nazionale”. Nel nuovo cd. Decreto Agricoltura non mancano aiuti per le crisi di mercato, sostegni contro le fitopatie, restrizioni sugli impianti fotovoltaici e misure per affrontare emergenze come quella derivante dal granchio blu. Il provvedimento contiene pure un pacchetto lavoro e informazioni riguardanti la Carta ‘Dedicata a te’.

Passiamo in rassegna alcune misure previste dal Decreto legge.

Moratoria sui mutui

Il Decreto prevede misure a sostegno delle filiere produttive maggiormente colpite dalle congiunture sfavorevoli derivanti dal contesto geopolitico attuale che intervengono con urgenza per il settore cerealicolo, vitivinicolo, florovivaistico, della pesca e dell’acquacoltura. Le imprese agricole, della pesca e dell’acquacoltura che hanno subito una riduzione del volume d'affari, pari almeno al 20 %, o hanno subito una riduzione della produzione, pari almeno al 30 %, o, nel caso delle cooperative agricole, una riduzione pari almeno al 20%, delle quantità conferite o della produzione primaria, rispetto all'anno precedente, previa presentazione di un'autocertificazione, possono avvalersi della sospensione per dodici mesi del pagamento della parte capitale della rata dei mutui e degli altri finanziamenti a rimborso rateale, anche perfezionati tramite il rilascio di cambiali agrarie, in scadenza nell'anno 2024.

Stretta agli impianti fotovoltaici su suolo agricolo

Vengono introdotte limitazioni per quanto riguarda l’istallazione di impianti fotovoltaici con modulo a terra nelle zone classificate agricole con alcune eccezioni che riguardano:

  • Interventi di modifica, rifacimento, potenziamento o integrale ricostruzione degli impianti già istallati;
  • Impianti fotovoltaici a terra realizzati in aree già coperte da strumenti urbanistici che ne consentono l’istallazione, a condizione che i lavori siano iniziati entro il 13 maggio 2024;
  • Impianti fotovoltaici a terra di potenza non superiore a 1 kilowatt realizzati su fabbricati rurali o annessi agricoli;
  • Impianti fotovoltaici flottanti su bacini idrici artificiali;

Gli investimenti previsti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) per il Parco Agrisolare e l’agrivoltaico sono stati comunque tutelati.

Sistema informativo per la lotta al caporalato nell’agricoltura

Si istituirà, presso il Ministero del Lavoro, un sistema informativo per il contrasto del caporalato in agricoltura. Questo strumento permetterà di condividere le informazioni tra le amministrazioni statali e le regioni al fine di mettere a punto un sistema di monitoraggio e vigilanza sui fenomeni di caporalato e lavoro sommerso in ambito agricolo. Nel testo è presente anche la realizzazione di una banca dati sui contratti di appalto in agricoltura dove dovranno registrarsi tutte le imprese non agricole, con i relativi dipendenti addetti alla raccolta di prodotti agricoli o alla pulitura e all’imballaggio dei prodotti ortofrutticoli, e le imprese che si occupano di lavori e servizi di sistemazione e di manutenzione agraria e forestale, con dipendenti addetti a tali attività che intendono partecipare ad appalti in cui l’impresa committente sia un’impresa agricola.

Misure per contrastare l’emergenza granchio blu e la Psa

Il Decreto prevede la nomina di un Commissario straordinario nazionale per mettere in campo un piano di intervento per contrastare l’emergenza rappresentata dalla diffusione della specie invasiva del granchio blu. Interventi aggiuntivi si annunciano invece per il contrasto alla peste suina africana (Psa) anche con l’utilizzo dell’Esercito Italiano con 177 unità a disposizione di un Commissario e con lo stanziamento di risorse economiche, circa 20 milioni, alle imprese per rafforzare le misure di biosicurezza negli allevamenti.

Credito d’imposta Zes Unica

Per il 2024, le imprese attive nei settori agricolo e della pesca possono beneficiare del credito d’imposta ZES Unica, un'opportunità per chi investe in beni strumentali nelle regioni Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna, Molise e in alcune zone dell’Abruzzo. Gli investimenti ammessi, da effettuare tra il 1° gennaio e il 15 novembre 2024, comprendono l'acquisto di nuovi macchinari, impianti, attrezzature, terreni e immobili strumentali. Tuttavia, il valore di terreni e immobili non deve superare il 50% del valore complessivo dell’investimento agevolato. Il credito d’imposta rispetta le normative europee sugli aiuti di Stato per i settori agricolo e ittico, offrendo un sostegno significativo per lo sviluppo di queste attività nelle aree designate.

Per maggiori informazioni potete contattarci allo 0932/862613, inviando una mail a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. o www.promotergroup.eu/index.php/contattaci

 

LE NOVITÀ INTRODOTTE DAL DECRETO SEMPLIFICAZIONI DEI CONTROLLI SULLE ATTIVITÀ ECONOMICHE (D.LGS. 103/2024)

Si passa da una logica sanzionatoria a una preventiva e collaborativa che premia e incentiva i comportamenti virtuosi delle imprese.

 

Il Decreto Legislativo 12 luglio 2024, n. 103 - “Semplificazione dei controlli sulle attività economiche” - riporta alcune misure, in attuazione della legge per la concorrenza 5 agosto 2022, n. 118, che riguardano la razionalizzazione dei controlli sulle attività economiche e i controlli in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro. Vediamo in seguito cosa cambia per il sistema impresa.

Il decreto introduce diverse misure per la razionalizzazione dei controlli amministrativi sulle attività economiche con lo scopo di snellire la burocrazia e migliorare l’efficienza dei controlli:

  • Censimento degli obblighi: viene istituito un censimento di tutti gli obblighi e adempimenti oggetto di verifica. Gli organi di vigilanza (SPreSaL, INAIL, ARPA, Isp. del Lavoro, ecc.) pubblicheranno le linee guida e FAQ per informare le imprese sulle procedure di controllo, aumentando la trasparenza e la consapevolezza delle imprese riguardo ai requisiti normativi.
  • Programmazione pluriennale: le attività di controllo saranno programmate su base annuale o pluriennale, tenendo conto della probabilità del rischio di violazioni e pregiudizi all’interesse pubblico. Questo approccio permetterà di allocare le risorse di controllo in modo più efficiente, concentrandosi sui settori e sulle aziende con maggiori probabilità di violazioni. Le sanzioni irrogate saranno proporzionate alla dimensione del soggetto controllato, alla tipologia dell’attività svolta e alla gravità delle violazioni.
  • Automatizzazione dei controlli: Saranno implementati i controlli automatizzati con l’ausilio dell’intelligenza artificiale, ciò consentirà di ridurre il carico burocratico, migliorare la qualità delle ispezioni intervenendo tempestivamente in quei casi di sospetta violazione.

Sicurezza sul lavoro e controlli alle imprese: cosa cambia col decreto 103/2024

La sicurezza sul lavoro compare nel decreto all’art. 3 assieme alla protezione ambientale e all’igiene e sicurezza pubblica tra gli ambiti ai quali si applica il “Sistema di identificazione e valutazione del livello di rischio basso dell’attività economica”.

Per certificare il livello di “rischio basso” si introduce un bollino certificativo che consente a un’impresa di essere sottoposta a controlli con frequenza non inferiore a un anno. Il livello di rischio basso per ogni ambito, compresa dunque la sicurezza sul lavoro, verrà definito dall’UNI (Ente Italiano di Normazione) che dovrà elaborare norme tecniche o linee guida approvate dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy. Il rischio basso d’impresa, come previso dal comma 3 art. 3, poggia su una serie di parametri quali: possedere una certificazione del sistema di gestione, rilasciata da un organismo di certificazione accreditato ai sensi del regolamento n. 765/2008 del 9 luglio 2008; l’ottenimento di certificazioni afferenti ai principi ESG (Environmental, Social, Governance); il settore economico cui opera il soggetto controllato; l’esito dei controlli subiti nei precedenti tre anni di attività; le caratteristiche dell’attività economica svolta dal soggetto controllato. Il decreto introduce anche un sistema premiale che permette alle aziende che superano con successo un controllo ispettivo di ottenere una “franchigia” corrispondente ad un periodo di dieci mesi successivi all’accertamento stesso, durante i quali l’azienda non potrà essere soggetta a controlli. Per ottimizzare i tempi e le risorse delle amministrazioni e alleggerire le incombenze dell’azienda controllata, i controlli non superiori ai dodici mesi potranno comunque essere effettuati congiuntamente da più organi di vigilanza.

  • Come ottenere il Report certificativo di basso rischio

Il Report certificativo del basso rischio di attività sarà rilasciato da organismi di certificazione, ispezione e validazione o verifica, accreditati presso l’Organismo nazionale di accreditamento (MLA) e dell’Associazione di cooperazione europea per l’accreditamento (EA) a quei soggetti che ne faranno domanda rivolgendosi ad uno degli organismi nominati al comma 4 art. 3. In seguito al rilascio del report certificativo di basso rischio, l’organismo di certificazione sottoporrà il soggetto controllato ad audit periodici per verificare il mantenimento della conformità alla normativa di riferimento. I controlli in ambito di sicurezza su lavoro verranno comunque svolti in caso di richiesta dell’autorità giudiziaria o in seguito a segnalazioni provenienti da soggetti privati o pubblici così come nei casi previsi dall’UE o di controlli per la sicurezza sui luoghi di lavoro.

  • La diffida amministrativa: tra errore scusabile e mancati adempimenti

L'Articolo 6 del Decreto Legislativo 103/2024 disciplina le violazioni sanabili e i casi di non punibilità per errore scusabile. Se un'azienda commette per la prima volta una violazione con sanzione amministrativa non superiore a cinquemila euro nell'arco di cinque anni, l'organo di controllo può emettere una diffida amministrativa, concedendo venti giorni per ottemperare alle prescrizioni violate ed estinguere il reato. L'adempimento alla diffida estingue il procedimento sanzionatorio, ma la diffida non si applica alle violazioni riguardanti la sicurezza sui luoghi di lavoro, la salute e l'incolumità pubblica. Se l'azienda non adempie, l'organo procede con la contestazione e la violazione viene notificata secondo la legge 24 novembre 1981, n. 689. La mancata ottemperanza o le violazioni gravi comportano la revoca del Report certificativo di conformità. Le norme specifiche per le violazioni agroalimentari restano in vigore. Inoltre, un'azienda non è responsabile per violazioni commesse per errore non determinato da colpa, garantendo così un approccio bilanciato tra tolleranza per errori minori e rigore per la sicurezza.

Il Decreto Legislativo 103/2024 rappresenta un tentativo significativo di bilanciare la semplificazione dei controlli aziendali con la necessità di mantenere elevati standard di sicurezza sul lavoro. Attraverso misure innovative e un approccio basato sul rischio, il decreto mira a promuovere la conformità e la responsabilità tra le imprese, migliorando al contempo l'efficienza e l'efficacia delle ispezioni. Queste modifiche si allineano agli obiettivi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), cercando di creare un ambiente di lavoro più sicuro e competitivo.

LAVORO E ALTE TEMPERATURE: LINEE GUIDA PER AFFRONTARE LE ORE PIÚ CALDE

Le linee guida INAIL da adottare per prevenire gli infortuni e le patologie da calore: formazione, dpi, orari di lavoro, piano di sorveglianza.

 

Le alte temperature registrate negli ultimi giorni hanno spinto alcune Regioni a vietare lavori all’aperto nelle ore più calde. Sempre più spesso i fenomeni climatici estremi sono stati posti in relazione con un aumento del rischio di infortunio sul lavoro. L’esposizione al calore e alle alte temperature potrebbe infatti arrecare danni alla salute dei lavoratori sottoposti a stress fisico e a contatto con fonti di calore. Dopo Lazio, Puglia, Campania e Toscana anche la Regione Sicilia ha emanato un’ordinanza per tutelare la salute dei lavoratori dei settori agricolo, edile e florovivaistico quando il rischio di esposizione alle alte temperature è classificato “alto” dalle mappe dell’Inail elaborate dal Progetto Worklimate (nato dallo sforzo congiunto di Cnr e Inail).

Inail ha messo a disposizione sul proprio sito un vademecum dedicato a lavoratori, datori di lavoro e responsabili salute e sicurezza, con una serie di strumenti che approfondiscono gli effetti delle condizioni di stress termico ambientale sui lavoratori e danno le indicazioni per evitare i rischi di infortuni e malattie. Diversi studi recenti hanno osservato le connessioni che riguardano il cambiamento climatico, l’aumento delle temperature, il rischio di infortuni sul lavoro e le ripercussioni sulla produttività aziendale. I lavoratori, in particolar modo quelli del settore agricolo e delle costruzioni, che trascorrono la maggior parte del loro tempo in attività all’aperto, sono tra i soggetti più esposti agli effetti del caldo e in generale a tutti i fenomeni atmosferici. Per queste ragioni è importante prevenire i rischi connessi al caldo adottando comportamenti in grado di ridurre gli infortuni o le patologie da calore nei luoghi di lavoro.

Come ridurre il rischio di infortunio e patologie da calore nei luoghi di lavoro?

Per prevenire i rischi associati alle alte temperature e all’esposizione al calore, il datore di lavoro, tramite il SPP (Servizio di Prevenzione e Protezione), deve assolvere a una serie di compiti secondo quanto prescritto dal D. lgs. 81/08. Diverse sono però le raccomandazioni che possono interessare datori di lavoro e lavoratori al fine di evitare infortuni e patologie da calore. In primo luogo, il datore di lavoro dovrebbe individuare un responsabile per la sorveglianza delle condizioni meteoclimatiche che deve essere formato sull’uso dell’indice di calore e sui possibili rischi di stress termico. Una buona formazione permette di sensibilizzare i lavoratori sui rischi e le patologie connesse allo stress da caldo così da identificare i pericoli anche grazie all’utilizzo di varie piattaforme che consentono di stimare il rischio microclima in base alle specifiche mansioni lavorative.

Un’ulteriore strategia di prevenzione è quella che interessa gli strumenti di protezione individuale per i lavoratori. Si raccomanda al datore di lavoro di rendere disponibile e facilmente accessibile acqua potabile da bere e per rinfrescarsi. I lavoratori dovrebbero bere almeno un litro d’acqua al giorno e seguire semplici regole per una corretta idratazione. Se l’attività è svolta all’aperto, è consigliabile utilizzare zaini o cinture per l’idratazione dotate di apposito sistema di conservazione (o in alternativa piccoli refrigeratori e brocche d’acqua istallati in postazioni all’ombra). La disponibilità di aree ombreggiate o climatizzate per le pause consente ai lavoratori di idratarsi in modo costante e ridurre il rischio di errore umano, pertanto si raccomanda di programmare pause e consumare pasti in aree ombreggiate.

Per quanto riguarda l’abbigliamento, è opportuno consigliare ai lavoratori di indossare abiti leggeri in fibre naturali, traspiranti e di colore chiaro, che ricoprano buona parte del corpo. L’utilizzo di occhiali da sole con filtri UV e di copricapo o visiere è altamente raccomandato. Inoltre, a seguito di parere medico, potrebbe essere opportuno raccomandare l’applicazione di crema solare ad alta protezione nelle parti del corpo che rimangono scoperte, i lavoratori più esposti alle alte temperature possono essere forniti di indumenti refrigeranti o gilet ventilati.

Rimodulare l’orario di lavoro può ridurre l’esposizione dei lavoratori al calore. Per questo si consiglia l’interruzione del lavoro in casi estremi di rischio di patologie da calore, la pianificazione di attività che richiedono un maggiore sforzo fisico nei momenti più freschi della giornata e la riprogrammazione delle attività da condursi all’aperto in giorni con condizioni meteo più favorevoli.

Prima dell’esposizione dei lavoratori al calore (sia in luoghi aperti che al chiuso) è opportuno sviluppare, con la collaborazione del medico competente e del responsabile della sicurezza, un piano di sorveglianza per individuare precocemente i segni e i sintomi delle patologie da calore così da rispondere tempestivamente alle emergenze per favorire la diagnosi e l’intervento. Tutti i lavoratori dovrebbero inoltre essere messi a conoscenza del piano di sorveglianza ed essere in grado di prestare il primo soccorso.

Visiona le linee guida INAIL

INTELLIGENZA ARTIFICIALE IN ITALIA: PERCHÉ LE AZIENDE SONO IN RITARDO?

Le cause culturali, economiche e infrastrutturali che frenano l'adozione dell’IA nel tessuto imprenditoriale italiano.

 

L'intelligenza artificiale (IA) rappresenta una delle innovazioni tecnologiche più significative del nostro tempo, con il potenziale di trasformare radicalmente il modo in cui viviamo e lavoriamo. Tuttavia, nonostante il suo vasto potenziale, le aziende italiane sembrano essere in ritardo rispetto alle aziende internazionali nell'adozione di queste tecnologie avanzate. Ma quali sono le ragioni di questo ritardo?

Uno dei principali problemi che ritardano l’adozione dell’intelligenza artificiale da parte delle aziende in Italia è la mancanza di un piano di integrazione allineato al piano strategico. Secondo il rapporto condotto da Minsait (società del gruppo Indra specializzata negli ambiti della Digital Transformation e delle Information Technologies), insieme al Centro di ricerca in Leadership, Innovazione e Organizzazione CLIO dell’Università Luiss Guido Carli, oggi solo un’azienda su quattro ha un piano AI in linea con la propria strategia.

Avere una strategia di adozione e di sviluppo dell’IA significa lavorare su degli aspetti ben specifici come la roadmap di implementazione in azienda. La velocità in questi casi è un aspetto fondamentale, considerando che la velocità di evoluzione di queste tecnologie è molto più rapida rispetto alle precedenti ondate di digitalizzazione.

Le aziende hanno la necessità di velocizzare i propri cambiamenti interni, di cambiare i processi, i ruoli e le responsabilità. Per fare questo, devono non solo avere le competenze, ma anche formare le persone e riqualificare coloro che cambieranno lavoro.

L’altro aspetto abilitante, altrettanto importante, è la tecnologia, l’infrastruttura. Avere un’infrastruttura potente, flessibile e dinamica significa lavorare su: l’infrastruttura di rete, la connettività che consente di trasferire e distribuire grosse quantità di dati; la capacità computazionale per elaborare grandi quantità di dati; e lo storage o capacità di raccogliere, elaborare e distribuire questi dati.

Oggi, i principali ostacoli all’adozione dell’intelligenza artificiale nelle imprese sono i limiti delle aziende in termini di competenze e infrastrutture tecnologiche. Secondo i dati del rapporto, il 65% delle aziende dichiara di non avere l’infrastruttura tecnologica adeguata per affrontare le sfide dell’intelligenza artificiale. Inoltre, la maggioranza ha segnalato la mancanza di competenze in questo settore come una delle principali barriere all’adozione.

L'IA richiede competenze specifiche in settori come la data science, il machine learning e la programmazione. In Italia, c'è una carenza di professionisti qualificati in questi campi. Le università italiane stanno iniziando a colmare questo divario, ma il processo è lento e non sufficiente per soddisfare la domanda crescente.

L'adozione dell'intelligenza artificiale in Italia è ostacolata da una combinazione di fattori culturali, economici e infrastrutturali. Superare queste sfide richiede uno sforzo da parte delle aziende, del governo e delle istituzioni educative. Solo attraverso un cambiamento di mentalità, un investimento significativo nelle competenze e nelle infrastrutture e un maggiore supporto alle PMI, l'Italia potrà colmare il divario tecnologico e sfruttare appieno il potenziale dell'IA.

L'IA non è solo una tendenza tecnologica, ma una necessità strategica per il futuro del business. Le aziende italiane devono abbracciare questa rivoluzione per rimanere competitive in un mercato globale sempre più digitalizzato.

MAXISANZIONE PER LAVORO NERO: NUOVE REGOLE E SANZIONI

Tra i provvedimenti governativi del D.L. 19/2024, spicca l’aumento degli importi della cosiddetta “maxi-sanzione per lavoro nero”.

 

Il decreto PNRR, ha previsto un incremento del 10% della maxisanzione per lavoro nero, con l’obiettivo di contrastare il fenomeno del lavoro sommerso.

Questa maggiorazione può essere ulteriormente incrementata del 20% nei seguenti casi:

  • Il lavoratore impiegato è un extracomunitario non in regola col permesso di soggiorno;
  • Il lavoratore è un minore in età non lavorativa;
  • Il lavoratore appartiene a nuclei familiari che godono del reddito di inclusione.

Ma non solo. La maggiorazione complessiva del 30% verrà raddoppiata laddove, nei tre anni precedenti, il datore di lavoro sia stato destinatario di sanzioni amministrative per i medesimi illeciti.

La maxisanzione per lavoro nero è una penalità finanziaria imposta ai datori di lavoro che non rispettano le normative in materia di contratti di lavoro, ossia che impiegano personale senza una regolare documentazione contrattuale. Questo provvedimento mira a tutelare i diritti dei lavoratori, garantendo loro condizioni lavorative dignitose e accesso a benefici sociali e previdenziali.

La "maxisanzione" riguarda:

  • i datori di lavoro privati, organizzati o meno in forma di impresa,
  • gli enti pubblici economici,
  • anche le persone fisiche nel caso utilizzino lavoratori impiegati con Libretto di famiglia per prestazioni diverse da quelle consentite dall'articolo 54-bis, comma 6, lettera a), del Dl 50/2017.

Sono esclusi i datori di lavoro domestico.

Le nuove sanzioni

Tale sanzione, è bene ricordarlo, scatta quando a seguito di accesso ispettivo degli organi a ciò deputati, vengono trovati lavoratori per i quali la comunicazione telematica di assunzione non è stata effettuata almeno 24 ore prima della instaurazione del rapporto.

Di seguito il nuovo apparato sanzionatorio:

  • lavoro nero sino a 30 giorni di prestazione lavorativa: da 1.950 euro a 11.700 euro per ogni lavoratore in nero;
  • lavoro nero da 31 e sino a 60 giorni: da 3.900 euro a 23.400 euro per ogni lavoratore, in nero;
  • lavoro nero oltre 60 giorni: da 800 euro a 46.800 euro per ogni lavoratore in nero.

La sanzione non si applica se il datore di lavoro prima dell’ispezione, dell’accertamento o di un’eventuale convocazione per un tentativo di conciliazione, regolarizza spontaneamente, per l’intera sua durata, il rapporto avviato senza la preventiva comunicazione obbligatoria.

L'obiettivo principale della normativa è quello di ridurre drasticamente il fenomeno del lavoro nero, che rappresenta una grave piaga per l'economia e la società italiana. Il lavoro sommerso non solo priva i lavoratori dei loro diritti, ma sottrae anche risorse fondamentali allo Stato sotto forma di contributi previdenziali e tasse.

È fondamentale che i datori di lavoro comprendano la gravità delle nuove sanzioni e si adeguino prontamente alle regole, per evitare pesanti conseguenze economiche e legali. La tutela dei diritti dei lavoratori e la promozione di un mercato del lavoro equo e regolare sono obiettivi prioritari per il futuro del Paese.

IN ITALIA SI INVESTE POCO IN MARKETING E COMUNICAZIONE

Secondo lo studio di Centro Studi UNA emerge una scarsa cultura digitale nel management aziendale che inibisce gli investimenti.

 

Mentre molti paesi occidentali dedicano una parte significativa del loro budget aziendale alle attività di marketing e comunicazione, le aziende italiane mostrano un atteggiamento più conservativo. Questa scelta può avere ripercussioni significative sulla competitività e sulla crescita delle aziende italiane. Secondo vari studi di settore, le aziende investono meno in marketing rispetto ai loro concorrenti internazionali. Questa tendenza è visibile sia nelle piccole e medie imprese (PMI) che nelle grandi multinazionali con sede in Italia.

Nonostante il rapido sviluppo del mondo digitale, molte aziende italiane non riescono a cogliere appieno le opportunità offerte dalle nuove tecnologie e dalle strategie di marketing moderno. In particolare secondo lo studio di Centro Studi UNA | UNA Media Hub 2023, l’investimento ammonta a soli 8,9 miliardi di euro, pari allo 0,47% del PIL italiano. Nonostante ciò, quasi 43 milioni di italiani, ovvero il 73% della popolazione, sono attivi sui social media. Inoltre il 47,1% fa acquisti online settimanalmente e il 25,1% utilizza i social per scoprire nuovi brand, prodotti e servizi; inoltre, il 58,1% si informa tramite siti di notizie online. Sebbene i motori di ricerca, la pubblicità televisiva e il passaparola rimangano i principali canali di consapevolezza aziendale, il digitale e i social media stanno assumendo un ruolo sempre più centrale. Nel 2023, l’Internet advertising in Italia ha infatti registrato una crescita del 7%, raggiungendo i 4,8 miliardi di euro, un incremento dell’8% rispetto al 2022.

Secondo il rapporto “Comunicare Domani 2023” del Centro Studi UNA, il mercato pubblicitario è cresciuto del 3% rispetto all’anno precedente, raggiungendo un valore di 8.902 milioni di euro. Tuttavia, questa crescita è insufficiente se confrontata con altri paesi europei che investono molto di più nel settore. Una delle principali criticità è la mancanza di una forte cultura del marketing tra le imprese italiane. Molti imprenditori non riconoscono l’importanza strategica della comunicazione per il successo del loro business. La scarsa cultura digitale nel management aziendale è il principale inibitore per il 48,5% dei marketing manager. Segue il problema dei costi (31,7%), considerati troppo elevati rispetto alle performance, e le difficoltà riscontrate nell’utilizzare Internet per il branding (29,7%).

In questo quadro complesso ed eterogeneo, le aziende italiane affrontano anche la sfida di distinguersi e rimanere competitive in un mercato saturo. Per attirare l’attenzione del pubblico, puntare su messaggi pubblicitari personalizzati e innovativi è ormai fondamentale. A tal proposito, la formazione professionale e il dialogo approfondito tra agenzie e clienti risultano essenziali per il successo delle strategie di marketing, contribuendo a rafforzare la posizione dell’Italia nel panorama globale delle industrie creative e digitali.

La mancanza di investimenti in marketing e comunicazione ha diverse ripercussioni negative: mancata visibilità, competitività ridotta, innovazione sempre più lenta. Solo attraverso una maggiore consapevolezza, organizzazione e formazione, le imprese italiane potranno sfruttare appieno il potenziale del marketing, contribuendo così alla crescita economica del paese. Nonostante l’evidente potenziale del mercato e l’incremento delle agenzie di settore, il Paese investe ancora poco rispetto agli standard internazionali. Le barriere principali, come la carenza di cultura manageriale digitale e i costi percepiti, continuano a frenare lo sviluppo del marketing digitale. Tuttavia, i dati mostrano chiaramente che il pubblico italiano è sempre più connesso e propenso all’interazione online, indicando un’opportunità enorme per le aziende che sapranno adattarsi e innovare.

Le aziende italiane devono quindi abbracciare una visione più moderna e dinamica del marketing, investendo in formazione e sviluppo delle competenze digitali. Solo così sarà possibile sfruttare appieno le potenzialità offerte dal mercato, migliorare le performance aziendali e competere efficacemente su scala globale.

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STRESS DA LAVORO? RISPONDE IL DATORE DI LAVORO ANCHE SE NON C’È MOBBING

La Cassazione riconferma la responsabilità del datore di lavoro nella tutela contro lo stress nei dipendenti (straining).

 

Nell'ambito delle crescenti preoccupazioni sulla salute mentale e il benessere dei dipendenti, una recente sentenza ha stabilito che i datori di lavoro possono essere ritenuti responsabili per lo stress da lavoro dei loro dipendenti, anche in assenza di episodi di mobbing. Questa decisione sottolinea l'importanza di un ambiente di lavoro sano e di politiche aziendali adeguate per prevenire situazioni di stress. A sancire questo principio è la Corte di Cassazione che, con sei ordinanze emanate tra gennaio e febbraio 2024, ha notevolmente ampliato la responsabilità del datore di lavoro in tema di tutela della salute psicofisica dei lavoratori dipendenti.

La Sentenza

In particolare, la sentenza n. 2084 del 2024 della Corte di Cassazione riguarda la richiesta di risarcimento da parte di un lavoratore per sofferenze psichiche subite sul lavoro. Dopo un primo giudizio favorevole al lavoratore, la Corte d'Appello aveva respinto la richiesta non rilevando un intento persecutorio, necessario per configurare il mobbing. Contro questa pronuncia, il dipendente aveva proposto ricorso per cassazione. Nell’esaminare il caso in oggetto, la Suprema Corte ha evidenziato innanzitutto la sussistenza dell'obbligo del datore di lavoro di astenersi da adottare scelte o comportamenti lesivi, già di per sé, della personalità morale del lavoratore, come l'applicazione di condizioni di lavoro stressanti, oltre a comportamenti più gravi come mobbing, straining, burn out, molestie, stalking.

La Cassazione ha chiarito che i datori di lavoro hanno l'obbligo di evitare comportamenti o scelte che possano danneggiare la personalità morale dei dipendenti, comprese condizioni di lavoro stressanti. Secondo la Corte, il datore di lavoro può essere ritenuto responsabile anche senza un comportamento intenzionalmente vessatorio, se viene dimostrato che le condizioni di lavoro hanno causato un danno alla salute del dipendente. Il lavoratore non deve provare che il datore di lavoro non ha preso le misure di sicurezza adeguate; spetta al datore di lavoro dimostrare di aver fatto tutto il possibile per prevenire il danno. Se viene accertato un danno alla salute correlato alle condizioni di lavoro, il diritto al risarcimento è riconosciuto.

Nella vicenda esaminata, è stato dimostrato un danno alla salute del lavoratore, come confermato dall'INAIL e dalla Consulenza Tecnica d'Ufficio (CTU). La Cassazione ha sottolineato che il giudice di merito avrebbe dovuto valutare tutte le condotte del datore di lavoro, anche quelle non intenzionalmente vessatorie, che potrebbero aver contribuito a creare un ambiente di lavoro stressante e dannoso. La sentenza è stata annullata e rinviata alla Corte d'Appello per un nuovo esame. Questo caso evidenzia come il benessere mentale dei dipendenti sia fondamentale, non solo per attrarre e mantenere talenti, ma anche come parte del sistema di prevenzione aziendale previsto dal D.Lgs. n. 81/2008.

Giovedì, 04 Luglio 2024 10:00

COMUNITÀ ENERGETICA RINNOVABILE

COMUNITÀ ENERGETICA RINNOVABILE

La Comunità Energetica Rinnovabile (CER) rappresenta una risposta innovativa e sostenibile alla crescente domanda di energia rinnovabile. Ad oggi, secondo i dati del GSE, sono 154 le forme di energia condivisa che si sono realizzate in Italia, tra comunità energetiche rinnovabili e configurazioni di autoconsumo collettivo.

Che cos'è la CER?

Una Comunità Energetica Rinnovabile (CER) è un soggetto giuridico che può nascere attraverso l'associazione tra cittadini, imprese, attività commerciali ed enti territoriali e autorità locali che decidono di unire le proprie forze, al fine di condividere l’energia prodotta da fonti rinnovabili con benefici economici ambientali e sociali. L’energia elettrica prodotta dal fotovoltaico può essere consumata immediatamente oppure condivisa. La condivisione dell’energia all’interno della CER avviene in modo virtuale: l’energia prodotta, al netto di quella autoconsumata fisicamente, viene immessa in rete e concorre al calcolo dell’energia condivisa.

Come funzionano?

Una Comunità Energetica Rinnovabile è un soggetto giuridico che si basa sulla partecipazione aperta e volontaria degli iscritti. I soci o membri sono persone fisiche, imprese industriali, agricole e commerciali, enti territoriali o autorità locali, il cui obiettivo principale è fornire benefici ambientali, economici e sociali a livello di comunità, ai propri soci e alle aree locali in cui opera.

I soggetti facenti parte della CER, vengono identificati come:

  • Consumatori, cioè coloro che esclusivamente consumano energia;
  • Prosumer, coloro che producono e consumano contemporaneamente nello stesso edificio/sito.

Benefici condivisi

I benefici derivanti dalla condivisione di energia sono economici, sociali e ambientali e vengono distribuiti tra tutti gli iscritti alla CER.

Ambiente e inclusività

Le CER contribuiscono alla riduzione delle emissioni, creano sinergie con altre soluzioni per l’elettrificazione e promuovono la condivisione dei benefici per combattere la povertà energetica.

Tariffe

I meccanismi di incentivazione sull’energia condivisa rendono più remunerativo l’investimento sull’impianto.

Vantaggi

Le comunità energetiche hanno numerosi impatti positivi su persone, imprese, enti e comunità coinvolte:

  • benefici economici derivanti dai meccanismi di incentivazione sull’energia condivisa. Ogni membro della Comunità riceve un compenso economico sull'energia condivisa dalla Comunità. Questo sistema non solo riduce i costi delle bollette energetiche per i singoli, ma crea anche un flusso di reddito costante per la comunità.
  • benefici ambientali derivanti dalla riduzione delle emissioni di CO2 e inquinanti (NOx, SOx ecc.). Questo contribuisce a ridurre l'impatto ambientale e a evitare sprechi di energia, grazie a una minore distanza da coprire e all’autoconsumo diretto da parte dei membri.
  • benefici sociali derivanti dallo stimolo dell’aggregazione sociale sul territorio, l’educazione alla sostenibilità e alla lotta contro la povertà energetica. La creazione di queste comunità energetiche stimola lo sviluppo di un indotto produttivo e la nascita di nuova occupazione locale.

Perché convengono?

  • Vantaggio economico
  • Miglioramento ambientale
  • Coesione sociale e sviluppo

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ZES UNICA PER IL MEZZOGIORNO. APPROVATO IL MODELLO DI COMUNICAZIONE.

Domande al via dal 12 giugno al 12 luglio 2024.

 

Pubblicato dall’Agenzia delle Entrate il modello e le istruzioni per presentare la comunicazione per usufruire del credito d'imposta per gli investimenti nella ZES Unica, che comprende i territori delle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sicilia, Sardegna e che sostituisce le attuali Zone economiche speciali frammentate in 8 diverse strutture amministrative.

A partire dal 12 giugno la comunicazione per le spese sostenute, o da sostenere, potrà essere inviata esclusivamente per via telematica tramite il software “ZES UNICA” (Zone economiche speciali). Il termine di invio scade il 12 luglio 2024.

Cos’è il credito d’imposta ZES?

Il credito d’imposta compete in relazione agli investimenti facenti parte di un progetto di investimento iniziale, relativi all’acquisto, anche mediante contratti di locazione finanziaria, di nuovi macchinari, impianti e attrezzature varie destinati a strutture produttive già esistenti o che vengono impiantate nella ZES unica nonché all’acquisto di terreni e all’acquisizione, alla realizzazione ovvero all’ampliamento di immobili strumentali agli investimenti ed effettivamente utilizzati per l’esercizio dell’attività nella struttura produttiva.

Chi può accedere?

Possono accedere al credito d’imposta tutte le imprese, indipendentemente dalla forma giuridica e dal regime contabile adottato, già operative o che si insediano nella ZES unica, in relazione all’acquisizione dei beni strumentali destinati a strutture produttive ubicate nelle zone assistite delle regioni Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia, nonché nelle zone assistite della regione Abruzzo, come individuate dalla Carta degli aiuti a finalità regionale 2022-2027.

Misura del credito d’imposta

Non sono agevolabili i progetti di investimento il cui costo complessivo sia inferiore a 200.000 euro.

Il credito è differenziato per regioni, dimensioni dell’impresa ed entità dell’investimento.

In particolare, il credito di imposta è determinato:

  • nella misura del 40% dei costi sostenuti in relazione agli investimenti ammissibili nelle regioni Calabria, Campania, Puglia e Sicilia;
  • nella misura del 30% dei costi sostenuti in relazione agli investimenti ammissibili nelle regioni Basilicata, Molise e Sardegna;
  • nella misura massima, rispettivamente del 50% e del 40%, come indicato nella vigente Carta degli aiuti a finalità regionale, per gli investimenti realizzati nei territori individuati ai fini del sostegno del Fondo per una transizione giusta nelle regioni Puglia e Sardegna;
  • nella misura del 15% dei costi sostenuti in relazione agli investimenti ammissibili nelle zone assistite della regione Abruzzo indicate dalla vigente Carta degli aiuti a finalità regionale 2022-2027.

Per i progetti di investimento con costi ammissibili non superiori a 50 milioni di euro, i massimali sono aumentati di 10 punti percentuali per le medie imprese e di 20 punti percentuali per le piccole imprese.

Per maggiori informazioni potete contattarci allo 0932/862613, inviando una mail a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. o www.promotergroup.eu/index.php/contattaci