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STRESS DA LAVORO? RISPONDE IL DATORE DI LAVORO ANCHE SE NON C’È MOBBING
La Cassazione riconferma la responsabilità del datore di lavoro nella tutela contro lo stress nei dipendenti (straining).
Nell'ambito delle crescenti preoccupazioni sulla salute mentale e il benessere dei dipendenti, una recente sentenza ha stabilito che i datori di lavoro possono essere ritenuti responsabili per lo stress da lavoro dei loro dipendenti, anche in assenza di episodi di mobbing. Questa decisione sottolinea l'importanza di un ambiente di lavoro sano e di politiche aziendali adeguate per prevenire situazioni di stress. A sancire questo principio è la Corte di Cassazione che, con sei ordinanze emanate tra gennaio e febbraio 2024, ha notevolmente ampliato la responsabilità del datore di lavoro in tema di tutela della salute psicofisica dei lavoratori dipendenti.
La Sentenza
In particolare, la sentenza n. 2084 del 2024 della Corte di Cassazione riguarda la richiesta di risarcimento da parte di un lavoratore per sofferenze psichiche subite sul lavoro. Dopo un primo giudizio favorevole al lavoratore, la Corte d'Appello aveva respinto la richiesta non rilevando un intento persecutorio, necessario per configurare il mobbing. Contro questa pronuncia, il dipendente aveva proposto ricorso per cassazione. Nell’esaminare il caso in oggetto, la Suprema Corte ha evidenziato innanzitutto la sussistenza dell'obbligo del datore di lavoro di astenersi da adottare scelte o comportamenti lesivi, già di per sé, della personalità morale del lavoratore, come l'applicazione di condizioni di lavoro stressanti, oltre a comportamenti più gravi come mobbing, straining, burn out, molestie, stalking.
La Cassazione ha chiarito che i datori di lavoro hanno l'obbligo di evitare comportamenti o scelte che possano danneggiare la personalità morale dei dipendenti, comprese condizioni di lavoro stressanti. Secondo la Corte, il datore di lavoro può essere ritenuto responsabile anche senza un comportamento intenzionalmente vessatorio, se viene dimostrato che le condizioni di lavoro hanno causato un danno alla salute del dipendente. Il lavoratore non deve provare che il datore di lavoro non ha preso le misure di sicurezza adeguate; spetta al datore di lavoro dimostrare di aver fatto tutto il possibile per prevenire il danno. Se viene accertato un danno alla salute correlato alle condizioni di lavoro, il diritto al risarcimento è riconosciuto.
Nella vicenda esaminata, è stato dimostrato un danno alla salute del lavoratore, come confermato dall'INAIL e dalla Consulenza Tecnica d'Ufficio (CTU). La Cassazione ha sottolineato che il giudice di merito avrebbe dovuto valutare tutte le condotte del datore di lavoro, anche quelle non intenzionalmente vessatorie, che potrebbero aver contribuito a creare un ambiente di lavoro stressante e dannoso. La sentenza è stata annullata e rinviata alla Corte d'Appello per un nuovo esame. Questo caso evidenzia come il benessere mentale dei dipendenti sia fondamentale, non solo per attrarre e mantenere talenti, ma anche come parte del sistema di prevenzione aziendale previsto dal D.Lgs. n. 81/2008.